vessazioni , soprusi in caserma e mobbing: quando scatta il reato di maltrattamenti

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 Un militare in servizio presso una sperduta stazione territoriale dell’Arma si reca dall’avvocato militare.
All’avvocato riferisce di una drammatica situazione di angherie quotidiane poste in essere dal Comandante della Stazione, caratterizzate da condotte ” lato sensu” mobbizzanti: progressivo demansionamento, turni di servizio deleteri rispetto ai colleghi, offese, minacce, tali da cagionare una significativa sofferenza morale alla sua persona.
Sul punto, oltre alla possibilità di una denuncia alla Procura militare, per la quale in realtà non nutre molta fiducia in ordine all’esito, essendo state archiviate due precedenti denunce per ingiuria e  o minaccia, intende verificare se sussistano i presupposti per una denuncia alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario.
Sul punto la giurisprudenza della Suprema Corte ( ovvero la Corte di Cassazione ) ha ormai affermato la configurabilità del reato di cui all’art. 572 c.p. ( c.d. maltrattamenti in famiglia) anche nell’ambito di rapporti lavorativi c.d. ” parafamiliari”.
Certamente l’assunto vale anche per la Stazione territoriale dell’Arma tipico luogo – per comune dato di esperienza – dove la comunanza tra colleghi, il rapporto quasi paternalistico con il superiore – rimanda almeno in via teorica alla situazione lavorativa richiesta dalla giurisprudenza.
Riportiamo per comodità espositiva un significativo ed esauriente brano tratto da una recente sentenza della Corte di Cassazione Penale: 
“S’intende, infatti, alludere a quelle situazioni in cui il rapporto tra il datore di lavoro ed il dipendente assume natura c.d. parafamiliare, poiché caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia (Cass. Sez. 6, sent. n. 28603 del 28/03/2013, P.C. in proc. S. e altro, Rv. 255976; Sez. 6, sent. n. 16094 del 11/04/2012, I., Rv. 252609; Sez. 6, n. 685 del 22/09/2010, P.C. in proc. C, Rv. 249186) ovvero quando nell’ambito di un rapporto professionale o di lavoro, il soggetto attivo si trovi un una posizione di supremazia, connotata dall’esercizio di un potere direttivo o disciplinare tale da rendere ipotizzabile una condizione di soggezione, anche solo psicologica, del soggetto passivo, che appaia riconducibile ad un rapporto di natura parafamiliare (Cass. Sez. 6, sent. n. 43100 del 10/10/2011, R.C. e P., Rv. 251368).
La denuncia se assistita in punto di fatto da prove è fondata e comporta , in caso di condanna dell’imputato , la pena della reclusione sino a sei anni , con la possibilità, nei casi più gravi di chiedere anche misure cautelari personali – oltre naturalmente la costituzione di parte civile per i danni subiti.