tutela ad ampio spettro per il militare che denuncia illeciti contro la p.a. ( c.d. whistleblower)

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Di straordinario interessa pratico è la recente novella con cui si è introdotto con la l. 190/2012 l’art. 54 bis nelle “Norme Generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni”  ( d.lgs. 165/01).
La norma prescrive infatti che ” fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’art. 20143 c.c., il pubblico dipendente che denuncia all’autorità giudiziaria o alla Corte dei Conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto a misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia”. 
La norma in assenza di una disposizione di carattere derogatorio deve ritenersi applicabile anche ai militari in ragione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione trattandosi, evidentemente, di norma di favore.
D’altronde anche l’A.N.A.C. ( Autorità Nazionale Anticorruzione ) nel tracciare le ” linee guida ” con la determina n. 6 del 28 aprile 2015 non ha espressamente previsto una diversa interpretazione che escluda dall’ambito applicativo i militari.
Prescrive infatti l’art. 54 bis sulla tutela del dipendente  che segnala condotte illecite ” che le disposizioni sono applicate in tutte le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 comma 2 dlgs. 30 marzo 2001 n. 165.
Oggetto della segnalazione , precisa l’ANAC, può riguardare ogni condotta in, nel corso dell’attività amministrativa, si riscontri l’abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati, nonchè fatti in cui venga in evidenza un uso privato delle funzioni pubbliche ( es. sprechi, nepotismo, demansionamenti, irregolarità contabili, false dichiarazioni ecc.ecc.)
La tutela, precisa l’ANAC, cessa ove il denunciante sia poi ritenuto colpevole, con sentenza di condanna in primo grado, del reato di calunnia o diffamazione o di civile responsabilità ex art. 2043 c.c.
Parte II – Ambito di applicazione
1. Ambito soggettivo. Le amministrazioni pubbliche e i  “dipendenti pubblici”
L’art. 54-bis sulla tutela del dipendente che segnala condotte illecite è stato introdotto dalla legge 190/2012 come novella al d.lgs. 165/2001; ai sensi dell’art. 1, co. 59, della legge 190/2012: «Le disposizioni di prevenzione della corruzione di cui ai commi da 1 a 57 del presente articolo, di diretta attuazione del principio di imparzialità di cui all’articolo 97 della Costituzione, sono applicate in tutte le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni».
Queste due norme guidano l’interprete nell’individuazione dell’ambito soggettivo di applicazione della norma, inteso con riferimento sia alle strutture organizzative all’interno delle quali devono essere previste misure di tutela, sia ai soggetti direttamente tutelati.
A. Per quanto riguarda le strutture organizzative, si deve trattare delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, co. 2, del d.lgs. 165/2001, e successive modificazioni. Nella nozione di pubbliche amministrazioni devono essere fatti rientrare, quindi, sicuramente gli enti di diritto pubblico non territoriali nazionali, regionali o locali, comunque denominati, istituiti, vigilati o finanziati da pubbliche amministrazioni, cioè tutti gli enti pubblici non economici. 
B. Per quel che riguarda i soggetti direttamente tutelati, l’art. 54-bis si riferisce specificamente a dipendenti pubblici che, in ragione del proprio rapporto di lavoro, siano venuti a conoscenza di condotte illecite.
Circa l’identificazione dei soggetti riconducibili alla categoria dei dipendenti pubblici indicati nella norma, in considerazione del rilievo che queste segnalazioni possono avere per finalità di prevenzione della corruzione, l’Autorità ritiene che vi rientrino i dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, co. 2, del d.lgs. 165/2001. Nella nozione di pubblico dipendente sono quindi compresi tanto i dipendenti con rapporto di lavoro di diritto privato (art. 2, co. 2) quanto, compatibilmente con la peculiarità dei rispettivi ordinamenti, i dipendenti con rapporto di lavoro di diritto pubblico (art. 3 del medesimo decreto).
2. Distinzione tra segnalazione anonima e riservatezza dell’identità del segnalante
Per quanto riguarda la definizione della nozione di «dipendente pubblico che segnala illeciti», occorre rifarsi alla ratio della norma, che è quella di evitare che il dipendente, venuto a conoscenza di condotte illecite in ragione del rapporto di lavoro, ometta di segnalarle per il timore di subire conseguenze pregiudizievoli.
Per questa ragione, l’art. 54-bis del d.lgs. 165/2001 impone all’amministrazione che tratta la segnalazione di assicurare la riservatezza dell’identità di chi si espone in prima persona. 
A tal fine il procedimento di gestione della segnalazione deve garantire la riservatezza dell’identità del segnalante sin dalla ricezione della segnalazione e in ogni fase successiva. 
Naturalmente la garanzia di riservatezza presuppone che il segnalante renda nota la propria identità. Non rientra, dunque, nella fattispecie prevista dalla norma come «dipendente pubblico che segnala illeciti», quella del soggetto che, nell’inoltrare una segnalazione, non si renda conoscibile. In sostanza, la ratio della norma è di assicurare la tutela del dipendente, mantenendo riservata la sua identità,  solo nel caso di segnalazioni provenienti da dipendenti pubblici individuabili e riconoscibili.
Resta comunque fermo, come anche previsto nell’attuale PNA, in particolare nel § B.12.1, che l’Autorità prende in considerazione anche le segnalazioni anonime, ove queste siano adeguatamente circostanziate e rese con dovizia di particolari, ove cioè siano in grado di far emergere fatti e situazioni relazionandoli a contesti determinati. L’invio di segnalazioni anonime e il loro trattamento avviene, comunque, attraverso canali distinti e differenti da quelli approntati per le segnalazioni oggetto delle presenti Linee guida. In altre parole, le segnalazione anonime, che pure in casi particolari possono essere oggetto di considerazione da parte dell’A.N.AC., non rientrano, per espressa volontà del legislatore, direttamente nel campo di applicazione dell’art. 54 bis del d.lgs. 165/2001. Si ribadisce che la tutela prevista da detto articolo non può che riguardare il dipendente pubblico che si identifica (diversamente, la tutela non può essere assicurata) e, comunque, secondo il tenore letterale della norma, la protezione accordata riguarda ritorsioni che possono avere luogo nell’ambito del rapporto di lavoro e non anche quelle di altro tipo. 
Resta ferma anche la distinta disciplina relativa ai pubblici ufficiali e agli incaricati di pubblico servizio che, in presenza di specifici presupposti, sono gravati da un vero e proprio dovere di riferire senza ritardo anche, ma non solo, fatti di corruzione, in virtù di quanto previsto dal combinato disposto dell’art. 331 del codice di procedura penale e degli artt. 361 e 362 del codice penale.
L’obbligo di denuncia in base alle suddette previsioni del codice penale e di procedura penale e la possibilità di segnalare disfunzioni e illeciti come dipendente pubblico ai sensi dell’art. 54-bis del d.lgs. 165/2001 hanno un diverso rilievo. La disciplina penalistica si fonda su un vero e proprio obbligo di denuncia all’Autorità giudiziaria, anche ma non solo, riferita ai reati in materia di corruzione, limitatamente a determinate categorie di soggetti e in presenza di specifici presupposti. 
La norma contenuta nell’art. 54-bis, oltre ad avere un ambito soggettivo e oggettivo più ampio, è rivolta in particolare a definire il regime di tutela dei segnalanti, dipendenti pubblici,  da parte dei soggetti a cui la segnalazione può o deve essere inoltrata. 
La segnalazione al superiore gerarchico, al Responsabile della prevenzione della corruzione o all’A.N.AC., non sostituisce, laddove ne ricorrano i presupposti, quella all’Autorità Giudiziaria e consente all’amministrazione o all’A.N.AC. di svolgere le opportune valutazioni sul funzionamento delle misure di prevenzione della corruzione adottate ai sensi della legge 190/2012 e di acquisire elementi per rafforzarne l’efficacia.
 
3. Oggetto della segnalazione
L’art. 54-bis del d.lgs. 165/2001 prevede espressamente che il dipendente pubblico possa segnalare le «condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro».
A. Ad avviso dell’Autorità, le condotte illecite oggetto delle segnalazioni meritevoli di tutela comprendono non solo l’intera gamma dei delitti contro la pubblica amministrazione di cui al Titolo II, Capo I, del codice penale (ossia le ipotesi di corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio e corruzione in atti giudiziari, disciplinate rispettivamente agli artt. 318, 319 e 319-ter del predetto codice), ma anche le situazioni in cui, nel corso dell’attività amministrativa, si riscontri l’abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati, nonché i fatti in cui – a prescindere dalla rilevanza penale – venga in evidenza un mal funzionamento dell’amministrazione a causa dell’uso a fini privati delle funzioni attribuite, ivi compreso l’inquinamento dell’azione amministrativa ab externo. Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, ai casi di sprechi, nepotismo, demansionamenti, ripetuto mancato rispetto dei tempi procedimentali, assunzioni non trasparenti, irregolarità contabili, false dichiarazioni, violazione delle norme ambientali e di sicurezza sul lavoro. 
Ciò appare in linea, peraltro, con il concetto di corruzione preso a riferimento nella circolare del Dipartimento della funzione pubblica n. 1/2013 e soprattutto nell’attuale PNA (§ 2.1), volto a ricomprendere le varie situazioni in cui, nel corso dell’attività amministrativa, si riscontri l’abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati. 
B.  Le condotte illecite segnalate, comunque, devono riguardare situazioni di cui il soggetto sia venuto direttamente a conoscenza «in ragione del rapporto di lavoro» e, quindi, ricomprendono certamente quanto si è appreso in virtù dell’ufficio rivestito ma anche quelle notizie che siano state acquisite in occasione e/o a causa dello svolgimento delle mansioni lavorative, seppure in modo casuale. In caso di trasferimento, comando, distacco (o situazioni analoghe) del dipendente presso un’altra amministrazione, questi può riferire anche di fatti accaduti in un’amministrazione diversa da quella in cui presta servizio al momento della segnalazione. In tale ipotesi, l’amministrazione che riceve la segnalazione la inoltra comunque all’amministrazione cui i fatti si riferiscono, secondo criteri e modalità da quest’ultima stabilite, o all’A.N.AC..
Non sono invece meritevoli di tutela le segnalazioni fondate su meri sospetti o voci: ciò in quanto è necessario sia tenere conto dell’interesse dei terzi oggetto delle informazioni riportate nella segnalazione, sia evitare che l’amministrazione o l’ente svolga attività ispettive interne che rischiano di essere poco utili e comunque dispendiose.
In ogni caso, considerato lo spirito della norma – che è quello di incentivare la collaborazione di chi lavora all’interno delle pubbliche amministrazioni per l’emersione dei fenomeni corruttivi – ad avviso dell’Autorità non è necessario che il dipendente sia certo dell’effettivo avvenimento dei fatti denunciati e dell’autore degli stessi, essendo invece sufficiente che il dipendente, in base alle proprie conoscenze, ritenga altamente probabile che si sia verificato un fatto illecito nel senso sopra indicato.
In questa prospettiva è opportuno che le segnalazioni siano il più possibile circostanziate e offrano il maggior numero di elementi al fine di consentire all’amministrazione di effettuare le dovute verifiche.
4. Condizioni per la tutela
Il dipendente che segnala condotte illecite è tenuto esente da conseguenze pregiudizievoli in ambito disciplinare e tutelato in caso di adozione di «misure discriminatorie, dirette o indirette, aventi effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia». La norma, in sostanza,  è volta a proteggere il dipendente che, per via della propria segnalazione, rischi di vedere compromesse le proprie condizioni di lavoro.
Come previsto dall’art. 54-bis, co. 1, del d.lgs. 165/2001 la predetta tutela, tuttavia, trova un limite nei «casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione o per lo stesso titolo ai sensi dell’art. 2043 del codice civile». 
Anche in coerenza con le indicazioni che provengono dagli organismi internazionali, la tutela prevista dal predetto art. 54-bis trova dunque applicazione quando il comportamento del pubblico dipendente che segnala non integri un’ipotesi di reato di calunnia o diffamazione ovvero sia in buona fede, da intendersi come mancanza da parte sua della volontà di esporre quello che, nelle norme internazionali, viene definito un  “malicius report”. 
La tutela non trova, quindi, applicazione nei casi in cui la segnalazione riporti informazioni false rese con dolo o colpa.
La norma è, tuttavia,  lacunosa in merito all’individuazione del momento in cui cessa la garanzia della tutela che deve essere accordata. Vi è, infatti, un generico riferimento alle responsabilità penali per calunnia o diffamazione o a quella civile extracontrattuale, il che presuppone che tali responsabilità vengano accertate in sede giudiziale. La cessazione della tutela dovrebbe discendere, dunque, dall’accertamento delle responsabilità in sede penale (per calunnia o diffamazione) o civile (per responsabilità ex art. 2043 del codice civile) e, quindi, sembrerebbe necessaria una pronuncia giudiziale. 
Consapevole della lacuna normativa, tenuto conto della delicatezza della questione e della necessità di fornire indicazioni interpretative per consentire l’applicazione della norma, l’Autorità ritiene che solo in presenza di una sentenza di primo grado sfavorevole al segnalante cessino le condizioni di tutela dello stesso.
Ai sensi dell’art. 54-bis, co. 2, l’amministrazione è tenuta, inoltre, a garantire nell’ambito dell’eventuale procedimento disciplinare avviato nei confronti del segnalato, la riservatezza dell’identità del segnalante. La norma  fornisce già un’indicazione specifica disponendo che, se l’addebito contestato si fonda su altri elementi e riscontri oggettivi in possesso dell’amministrazione o che la stessa abbia autonomamente acquisito a prescindere dalla segnalazione, l’identità del segnalante non possa essere rivelata senza il suo consenso. 
Invece, quando la contestazione che ha dato origine al procedimento disciplinare si basa unicamente sulla denuncia del dipendente pubblico, colui che è sottoposto al procedimento disciplinare può accedere al nominativo del segnalante, anche in assenza del consenso di quest’ultimo, solo se ciò sia “assolutamente indispensabile” per la propria difesa. 
L’Autorità è consapevole che l’individuazione dei presupposti che fanno venir meno la riservatezza dell’identità del segnalante è cruciale in quanto, da una parte, la garanzia di riservatezza è una delle condizioni che incoraggiano il dipendente pubblico ad esporsi segnalando fenomeni di illiceità; dall’altra, consente alle amministrazioni di dare corretta applicazione all’istituto. 
La norma non fornisce indicazioni in merito. Vista la rilevanza della problematica, sulla quale sarebbe necessario un intervento chiarificatore del legislatore, l’Autorità ritiene che spetti al responsabile dell’ufficio procedimenti disciplinari valutare, su richiesta dell’interessato, se ricorra la condizione di assoluta indispensabilità della conoscenza del nominativo del segnalante ai fini della difesa. In ogni caso, sia in ipotesi di accoglimento dell’istanza, sia nel caso di diniego, il responsabile dell’ufficio procedimenti disciplinari deve adeguatamente motivare la scelta come peraltro previsto dalla legge 241/1990. 
È opportuno, comunque, che il responsabile dell’ufficio procedimenti disciplinari venga a conoscenza del nominativo del segnalante solamente quando il soggetto interessato chieda sia resa nota l’identità dello stesso per la sua difesa. Gravano sul responsabile dell’ufficio procedimenti disciplinari gli stessi doveri di comportamento, volti alla tutela della riservatezza del segnalante, cui sono tenuti il Responsabile della prevenzione della corruzione e gli eventuali  componenti del gruppo di supporto. 
Ai sensi dell’art. 54-bis, co. 4, la segnalazione è comunque sottratta all’accesso previsto dagli artt. 22 e seguenti della legge 241/1990.