RASSEGNA DELLA GIURISPRUDENZA PENALE MILITARE DI CASSAZIONE SUI PRINCIPALI REATI MILITARI

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 a) Rivelazione di notizie riservate
Nel valutare se l’attività di addestramento militare rientri o meno tra le materie qualificabili come riservate
ed in relazione alle quali la relazione dell’obbligo di riservatezza abbia rilevanza penale, la Corte ha stabilito
che “Al fine di dare adeguata risposta al quesito come innanzi posto è necessario verificare l’ambito
normativo delle materie militari riservate, operazione interpretativa correttamente eseguita dalla corte di
merito, che ha richiamato l’art. 235 del codice dell’ordinamento militare il quale stabilisce che il segreto 2
sugli atti è disciplinato dalla L. 124/2007 e da decreti amministrativi della presidenza del consiglio tra i quali
il d.p.c.m. n. 7 del 12.6.2009 esplicitamente rimanda, con l’allegato C), ai fini di delimitare l’ambito di
riservatezza delle notizie militari, al R.D. 11.7.1941 n. 1611, atto normativo quest’ultimo abrogato dall’art.
2268, comma 1, D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66, con la decorrenza prevista dall’art. 2272, comma 1 del
medesimo D.Lgs. e cioè dal dì 8 ottobre 2010, ma, ciò nondimeno parzialmente recuperato nella sua vigenza
normativa dal richiamo legislativo appena indicato. Orbene, secondo detta norma l’elenco delle materie di
carattere militare, o comunque concernenti l’efficienza bellica del paese, di cui nell’interesse della sicurezza
dello Stato deve intendersi vietata la divulgazione di notizie, per quanto d’interesse nel presente processo,
sono indicate al punto sub 2 dell’allegato, il quale recita testualmente:
2.- Efficienza ed impiego delle Forze armate.
Esercitazioni e manovre delle forze armate e forme di cooperazione fra esse: incidenti durante le
esercitazioni; ricognizioni di frontiera, escursioni alpine; rapporti relativi. Grado di addestramento e di
allevamento del personale; situazione morale e materiale in cui possono trovarsi temporaneamente unità,
equipaggi, che comunque possano influire sulla loro efficienza; entità delle perdite, impiego del naviglio
mercantile in guerra. Interpretando tale norma i giudici di merito hanno ritenuto che l’attività addestrativa
in atto la sera del 25.9.2009 in Grazzanise, attività consistente in un volo notturno con atterraggio in
condizioni di bassa luminosità, sia riferibile alla nozione di “grado di addestramento” in quanto idonea a
rendere riconoscibile all’esterno dello indice di capacità operativa, mentre, ad avviso della difesa, un’azione
addestrativa è concetto giuridico diverso da quello di grado di “addestramento”, di guisa che, nella
fattispecie in esame, si deve escludere la ricorrenza dei requisiti richiesti dalla norma incriminatrice
dappoiché non rivelata nessuna notizia riservata.
Ad avviso della Corte deve ritenersi fondata la soluzione giuridica data alla fattispecie dalla difesa
ricorrente. Ed invero l’attività addestrativa data dal volo tattico di aereo militare in ora notturna con
atterraggio in condizioni di bassa luminosità pur considerando le caratteristiche delle operazioni svolte, di
particolare difficoltà e finalizzate a fronteggiare specifiche condizioni ambientali da superare in contesti di
pericolo, non può considerarsi di per sé espressiva del grado di addestramento raggiunto dalle forze aeree,
grado di addestramento che la norma considera meritevole di riservatezza nell’interesse della sicurezza
dello Stato. Il grado di addestramento infatti, è dato non già dalla singola esperienza amministrativa, ma
dagli esiti consolidati della complessiva opera di formazione, della quale il singolo episodio operativo è mero
momento preparatorio. Il reato contestato, pertanto, non sussiste, giacchè le notizie relative al singolo
momento addestrativo non hanno carattere di riservatezza in quanto non contemplate tra quelle
normativamente qualificate come tali ai sensi del punto 2 dell’allegato al R.D. 1611/1941, richiamato dal
d.p.c.m. n. 7 del 12.6.2009” (sent. 787 del 28.9.2012).3
b) Violata consegna
A proposito del reato di violata consegna di cui all’art. 120 c.p.m.p. si è ribadito che “la nozione di consegna
ai fini della citata norma comprende l’intero complesso di prescrizioni tassative, generali o particolari,
permanenti o temporanee, scritte o verbali, impartite per l’adempimento di un determinato servizio al fine
di regolarne le modalità di esecuzione e dalle quali non è consentito discostarsi (Sez.1 n. 30693, 11.07.2007
Demanuele, rv. 237351). D’altro canto a norma dell’art. 26, comma 1, del regolamento di disciplina militare,
approvato con d.p.r. m. 545 del 1986, anche le disposizioni di carattere generale, rilevanti ai fini della
corretta esecuzione di un servizio, formano parte integrante della consegna e ciò indipendentemente dal
loro specifico e diretto richiamo nel particolare ordine impartito” (sent. 317 del 28.3.2012).
c) Abuso nell’imbarco di merci o passeggeri
Quanto al c.d. reato di imbarco clandestino (art. 135 c.p.m.p.), si è rilevato che tale norma incriminatrice
“punisce il militare che imbarchi arbitrariamente merci o passeggeri a bordo di navi e aeromobili militari, e
non richiede che la condotta sia finalizzata a profitto per sé o per altri. L’avverbio “arbitrariamente” che
connota la condotta di imbarco, serve a definire la contrarietà ad ogni norma che regoli l’amministrazione e
la gestione delle navi o degli aeromobili militari, e non già a qualificare di intenti di profitto personale i
comportamenti puniti. Il fatto che gli imbarchi di merci furono compiuti per finalità di risanamento della
contabilità dell’organismo di supporto logistico (OSL) non ha alcuna incidenza sull’elemento soggettivo, che
implica la volontà degli imbarchi e la consapevolezza della loro contrarietà alla normativa di riferimento per
la gestione della nave, a prescindere dalla conoscenza, al più rilevante in termini di connivenza, che di quegli
imbarchi potessero avere i Comandi superiori” (sent. 1115 del 20.11.2012).
d) Reati di assenza dal servizio
La Corte ha ribadito il principio secondo cui “la parte di assenza arbitraria successiva a condanna di primo
grado per il delitto di diserzione costituisce il nuovo reato di diserzione, anche se non ha la durata minima di
cinque giorni prescritta dall’art. 148 cod. pen. pace, in quanto detto delitto ha carattere permanente e nella
fase della permanenza successiva all’atto interruttivo è ravvisabile un fatto storicamente diverso da quello
precedente, come tale integrativo di un reato identico, ma nuovo” (sent. 563 del 23.5.2012).
Si è anche precisato che il reato militare di diserzione “non si configura nei casi in cui l’assenza dal servizio
militare trovi titolo in un’autorizzazione dell’autorità militare che dispensi dal servizio, fosse carpita con
dolo” (sent. 1508 del 23.5.2012).
e) Distruzione o deterioramento di cose mobili militari
La Corte ha qualificato come reato comune di falso per soppressione anziché come distruzione di cosa
mobile militare la distruzione del foglio contenente le note caratteristiche di un militare così motivando: “la
cosa materiale distrutta, oggetto della condotta delittuosa, costituiva (come espressamente enunciato nel
capo di impugnazione) il supporto cartaceo recante la redazione del provvedimento della Amministrazione
Militare di valutazione del servizio del graduato, sicché l’azione di costui ha comportato la distruzione
dell’atto pubblico” (sent. 780 del 28.9.2012).
f) Abuso di autorità e insubordinazione
Quanto alle modalità della condotta, si è affermato che “L’espressione “figlio di puttana” la frase “mi hai
rotto il cazzo”, l’accusa “mi hai fatto due palle così” si appalesano in sé ingiuriose dappoichè del tutto
idonee ad offendere l’onorabilità e il decoro di qualsiasi persona normale, ma, nello specifico, se riferite da
un sottoposto ad un superiore gerarchico nell’esercizio delle rispettive funzioni istituzionali, funzioni di
tutela dell’ordine pubblico e di contrasto alla criminalità, vieppiù acquisiscono una valenza gravemente
insultante non tollerabile, un carattere dirompente dell’unitarietà dell’ufficio e della funzione pubblica
esercitata, una indiscutibile valenza penalistica” (sent. 2620 del 28.9.2012).
In relazione al disposto di cui all’artr. 199 c.p.m.p., la Corte ha ritenuto integrata la connessione tra la
minaccia e la ragioni di servizio in un’ipotesi in cui l’imputato aveva motivato l’intervento delittuoso di 5
natura minatoria “asserendo che, se la parte lesa non avesse “ritirato” la denunzia, la pendenza delle
indagini avrebbe compromesso la missione in Kosovo del sottufficiale” (sent. 566 del 23.5.2012).
In termini ricognitivi della pregressa giurisprudenza sul punto, si è inoltre affermato: “Nel ravvisare la
ricorrenza della causa di esclusione di cui art. 199 cod. pen., nella condotta di “un militare in licenza in abiti
civili che, in stato di ebrezza alcoolica, inveiva all’indirizzo di appartenenti dei carabinieri, intervenuti in un
locale pubblico su segnalazione di alcuni avventori” questa Corte Suprema di Cassazione, previo richiamo
delle disposizioni di cui agli articoli 5 della legge 11 luglio 1978, n. 382, e 8 del d.p.r. 18 luglio 1986, n. 545,
in relazione al negativo scrutinio circa la ricorrenza di alcune delle condizioni per la applicazione del
Regolamento di disciplina militare (norme attualmente trasfuse nell’art. 1350 del Codice dell’ordinamento
militare emanato con decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66), ha motivato che l’imputato “non aveva
fatto nessun riferimento alla propria condizione di militare” (Analogamente questa Sezione ha affermato la
sussistenza della clausola dell’articolo 199 cod. pen. con sentenza n. 14353 del 12.03.2008 – dep.
07.04.2008, Ruchini, Rv. 240015, sulla base del rilievo che “l’imputato, pur militare paracadutista agì [..]
come un cittadino qualsiasi, senza vantare, né opporre alcuna qualità riferibile al suo stato militare”; e, con
sentenza 5 maggio 2008, n. 19425, Carofalo, ha annullato con rinvio la decisione impugnata sotto il profilo
dell’omesso accertamento sul punto se l’imputato, il quale agiva “al di fuori delle attività di servizio attivo e
indossava abiti civili [..] avesse fatto alcun riferimento alla propria condizione di militare” nel perpetrare il
delitto di ingiuria ad inferiore in danno di alcuni agenti di polizia giudiziaria “che lo avevano fermato per
contestargli alcune infrazioni al Codice della strada”).
Mentre, proprio in termini con successivo arresto, questa Corte ha definitivamente chiarito che “il reato
militare di insubordinazione con minaccia o ingiuria è punibile pur quando il soggetto agente commetta il
fatto fuori dal servizio, ove si qualifichi come militare nei confronti dei superiori persone offese” (Sez. I, n.
14351 del 12.03.2008 – dep. 07.04.2008, Spano, Rv. 240014)” (sent. 2621 del 28.9.2012).
 In altra vicenda si è ribadito che “il reato militare di insubordinazione con minaccia o ingiuria è punibile pur
quando il soggetto agente commetta il fatto fuori dal servizio, ove si qualifichi come militare nei confronti
dei superiori persone offese (Sez. 1, n. 14351 del 12.03.2008, dep. 07.04.2008, Spano, Rv. 240014).
Il principio affermato è stato logicamente correlato all’indirizzo espresso dalla Corte Costituzionale con
sentenza n. 367 del 2001, che ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 199 cod. pen. mil. pace, che scrimina per certi reati (tra i quali l’insubordinazione) i
fatti commessi per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, osservando che la norma non deve
essere interpretata (nel caso della insubordinazione) nel senso che si deve guardare solo alla condizione 6
della persona offesa dal reato, potendo rilevare – per una lettura costituzionalmente orientata – anche la
correlazione tra la situazione in cui si trovi ad agire l’autore del fatto e il servizio militare.
Il principio è stato riferito anche a precedente intervento di questa Corte (Sez. 1, n. 16413 del 03.03.2005,
dep. 02.05.2005, Andresini, Rv. 231573), alla cui stregua (in fattispecie riguardante un militare in licenza e in
abiti civili che, in stato di ebbrezza alcolica, aveva inveito all’indirizzo di appartenenti all’Arma dei
carabinieri, intervenuti in un locale pubblico su segnalazione di alcuni avventori) la minaccia o l’offesa
all’onore di un superiore (art. 189 cod. pen. mil. pace), rivolta dal militare appartenente alle forze armate al
di fuori dell’attività di servizio attivo e non obiettivamente correlata all’area degli interessi connessi alla
tutela della disciplina, rientra nella clausola di esclusione del reato di insubordinazione, prevista dall’art. 199
cod. pen. mil. pace, coerentemente rimarcandosi che il soggetto agente nella fattispecie non si era
qualificato come militare ed esulava del tutto, nella situazione creatasi, il profilo della tutela della disciplina.
L’indicato indirizzo interpretativo è pure confortato dagli artt. 5 della legge n. 382 del 1982 e 8 del D.P.R. n.
545 del 1986, che trovano il loro presupposto di operatività in presenza di una delle seguenti condizioni:
svolgimento da parte del militare di un’attività di servizio, presenza in luoghi militari, uniforme indossata dal
militare, ed esplicita indicazione della propria qualità di militare in relazione a compiti di servizio ovvero nei
rapporti con altri militari in divisa o che si qualifichino come tali.
Alla stregua di questi principi, che il Collegio condivide e riafferma, nel caso in esame, è del tutto corretta e
resiste alle infondate proposte obiezioni la ritenuta esclusa applicabilità della fattispecie incriminatrice di cui
all’art. 189 cod. pen. mil. pace, per la sussistenza della causa di esclusione del reato prevista dall’art. 199
dello stesso codice, poiché non risulta che il ricorrente, che si trovava in permesso e indossava abiti civili,
abbia esternato la propria condizione di militare; i carabinieri sono intervenuti in ragione della loro qualifica
di appartenenti alla forza pubblica e non in quanto superiori gerarchici dell’imputato; l’imputato ha
proferito le frasi oggetto della contestazione all’indirizzo dei militari per ragioni attinenti al servizio di ordine
pubblico da essi svolto, ma per cause del tutto estranee al servizio svolto da esso stesso, o collegate in
itinere in modo del tutto estrinseco e occasionale all’area degli interessi connessi alla tutela del servizio e
della disciplina” (sent. 2619/12 del 28.09.2012).
g) Peculato militare
Sugli elementi che distinguono il peculato ed il peculato d’uso, si è precisato che il requisito dell’immediata
restituzione del bene (che consente di ritenere integrato il peculato d’uso) non può configurarsi
“nell’abbandono del bene stesso in un momento sì incerto (anche se logicamente sospetto), ma in un luogo 7
sicuramente diverso (senza avviso alcuno) da quello in cui il bene fu prelevato: di fatto esso non fu mai
restituito” (sent. 788 del 28.09.2012).
h) Art. 3 L. 9 dicembre 1941, n. 1385
Sugli elementi necessari per integrare il reato di collusione del finanziere con estranei per frodare la finanza
si è stabilito che “Perché sussista pertanto il reato occorre un accordo tra il militare appartenente alla
Guardia di Finanza e l’estraneo, accordo il cui oggetto sia costituito dalla “frode alla finanza” la quale,
secondo accreditata lezione ermeneutica di questa Corte, può consistere nell’indicazione o apprestamento
di qualsiasi espediente o mezzo fraudolento dotato di potenzialità lesiva dell’interesse alla percezione
dell’entrata tributaria (Cass., Sez. 1 n. 06/06/2007, n. 25819; Cass., 15/12/2005, n. 1303). Tanto premesso
non può rilevarsi che nel caso dedotto all’esame della Corte la ricorrenza di tre telefonate il cui contenuto è
rimasto sconosciuto non appare circostanza di fatto idonea a sostenere probatoriamente né un accordo tra
il N. ed il M., né tampoco – e tale rilievo si appalesa decisivo – l’oggetto dell’accordo e cioè la frode che gli
interlocutori intendevano consumare in contrasto con gli interessi pubblici tutelati dall’azione di istituto del
Corpo. Né in tale direzione appaiono significativi i comportamenti ambigui assunti dagli imputati, e cioè la
mancata verbalizzazione dell’accesso all’agenzia A. e l’asetticità dei rapporti successivi, sia per l’incertezza
nella quale è rimasta la circostanza del momento in cui i prevenuti dettero avviso ai superiori che l’agenzia
risultava chiusa rispetto alla prima telefonata al M. sia perché non deducibile da essi alcun accordo collusivo
volto a una frode rimasta a tutt’oggi senza una precisa determinazione di contenuti” (sent. 782 del
28.09.2012).                                          
I) Falso in fogli di licenza, di via e simili
Nel definire la nozione di fogli di via, la Corte ha affermato: “Detti titoli sono storicamente collegati ad una
indicazione nominativa nata in epoca di una forte regolamentazione delle ipotesi di circolazione ed accesso
negli stabilimenti militari, ma la previsione si distacca, come eloquentemente induce a fare la rubrica, dalla
elencazione e pone in risalto che il falso che essa regola deve essere commesso nella formazione o nella
alterazione di tutti i documenti autorizzatori della uscita o della entrata negli stabilimenti militari .In questa
ottica appare corretta la riconduzione, nell’ambito della non tassativa ipotesi in disamina, del foglio di
uscita del veicolo le volte in cui esso sia documento autorizzatorio alla uscita alla circolazione, al rientro del
veicolo con il conducente che lo forma e lo integra, assumendosi le responsabilità di apporre veridiche
attestazioni afferenti gli orari, i percorsi, i luoghi, la percorrenza chilometrica e quant’altro sia nel
documento previsto” (sent. 125 dell’8.2.2012). 8
l) Diffamazione
La Corte ha precisato che integra la circostanza aggravante del fatto determinato il riferimento nello scritto
diffamatorio “ all’indebita e remunerata navigazione su Internet in orario di ufficio e alla formazione dei
fogli di viaggio di missione finalizzati solo al rientro a casa nel fine settimana” (sent. 791 del 28.9.2012).
m) Furto militare
Sui rapporti tra i reati di furto militare e appropriazione indebita si è affermato: “La tesi difensiva, ribadita
con il ricorso, della sussumibilità del fatto nell’ambito dell’appropriazione di cose smarrite di cui all’art. 236
cod. pen. mil pace è, inoltre, in diritto, in palese contrasto con i condivisi principi di diritto affermati in
questa sede di legittimità, alla cui stregua deve considerarsi smarrita la cosa che è materialmente e
definitivamente uscita dalla detenzione del possessore, e non la cosa che sia stata solo momentaneamente
dimenticata e della quale si conservi memoria del luogo in cui ritrovarla (tra le altre Sez. 4, n. 11148 del
06.06.2000, dep. 31.10.2000, Frenicchi G. e altri, Rv 217658; Sez. 2, n. 5905 del 20.12.2005, dep. 14.2.2006
P.M. in proc. Scaffini, Rv. 233495; Sez. 2, n. 25939 del 17.6.2010, dep. 07.07.2010; P.M. in proc. Contessi, Rv.
247752), ne piu specificamente la cosa che, conservando chiari e intatti i segni esteriori di un legittimo
possesso altrui, rimane, anche venendo meno la relazione materiale tra essa e il suo titolare, sotto il potere
di fatto di quest’ultimo, come l’assegno o la carta di credito (Sez. 2, n. 11034 del 16.06.1999, dep.
28.09.1999, P.M. in proc. Occigano, Rv. 214359; Sez.2 n. 8109 del 26. 04 2000, dep. 08.07.2000, Gorini, Rv.
216589) o la tessera bancomat (Sez. 5, n. 11860 del 22.09.1998, dep. 16.11.1998, De Antonis, Rv. 211920), o
il telefono cellulare (Sez. 5, n. 40327 del 21.09.2011, dep. 08.11.2011, Tronca, Rv. 251723), da essi
discendendo che, al di fuori dei casi di dismissione del bene, la presenza di segni chiari di individuazione del
possessore legittimo del bene e la possibilità della individuazione del suo titolare, come nella specie, denota
che non è venuta meno la relazione materiale del titolare con la cosa e che la condotta appropriativa
integra sotto il profilo materiale e quello psicologico il delitto di furto” (sent. 790 del 28.09.2012).
n) Truffa
In materia di rapporti tra truffa militare e abuso di ufficio, in relazione alla liquidazione di fogli di viaggio
fraudolentemente formati, si è affermato che correttamente viene contestata la truffa e non l’abuso di
ufficio “una volta che la liquidazione dei fogli di viaggio da parte del soggetto agente era sostenuta da una
falsa rappresentazione della realtà diretta non (ovviamente) a ingannare il loro autore, ma gli organi
supervisori senza i quali il pagamento non sarebbe avvenuto. Né può sostenersi, a fronte dei risultati
istruttori, che le giustificazioni di spesa fossero reali o che comunque lo fossero ( come doveroso) nella loro
interezza”(sent. 788 del 28.09.2012).