Per il sindacato dei militari necessaria una legge ” ad hoc” ( Corte Costituzionale)

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Alla stregua di entrambi i parametri, vincolanti ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost., va riconosciuto ai militari il diritto di costituire associazioni professionali a carattere sindacale.

12.− La portata e l’ambito di tale diritto vanno, tuttavia, precisati alla luce dell’intero contenuto delle norme internazionali evocate.

Come si è anticipato, esse fanno entrambe seguire all’affermazione di principio della libertà sindacale il riconoscimento della possibilità che siano adottate dalla legge restrizioni nei confronti di determinate categorie di pubblici dipendenti. Va dunque verificato se e in quale misura tale facoltà possa o debba essere esercitata, e ciò anche alla stregua dei princìpi costituzionali che presiedono all’ordinamento militare.

13.− È in relazione a questo duplice profilo che viene anzitutto in rilievo la parte dell’art. 1475, comma 2, del D.Lgs. n. 66 del 2010 − complessivamente censurato − che vieta ai militari di “aderire ad altre associazioni sindacali”.

13.1.− Quanto alla CEDU, la questione non è stata oggetto di esplicita pronuncia della Corte di Strasburgo, che riguarda il caso specifico della libertà di costituire associazioni tra militari, e di aderirvi. D’altro canto, il divieto non appare incompatibile con il testo della disposizione di riferimento, come interpretato in via generale dalla giurisprudenza, non comportando il venir meno di un elemento essenziale della libertà di associazione.

13.2.− Ciò, del resto, è coerente con i nostri princìpi costituzionali, princìpi oggetto di approfondite ricostruzioni ed analisi da parte della giurisprudenza di questa Corte.

Già con la sentenza n. 126 del 1985 si è affermato che la L. n. 382 del 1978, prevedendo che spettano ai militari i diritti dei cittadini e stabilendo che, ex lege, possono essere imposte ai militari limitazioni nell’esercizio di tali diritti e l’osservanza di particolari doveri al (solo) fine di garantire l’assolvimento dei compiti propri delle Forze armate, “rispecchia l’esigenza, la quale promana dalla Costituzione, che la democraticità dell’ordinamento delle Forze armate sia attuata nella massima misura compatibile col perseguimento da parte di queste dei propri fini istituzionali”.

Con la pronuncia n. 278 del 1987, questa Corte ha poi chiarito che la Costituzione repubblicana ha superato radicalmente la logica istituzionalistica dell’ordinamento militare e ha ricondotto anche quest’ultimo nell’ambito del generale ordinamento statale, particolarmente rispettoso e garante dei diritti sostanziali e processuali di tutti i cittadini, militari oppure no.

Di particolare rilevanza, infine, i princìpi richiamati nella sentenza n. 449 del 1999. Questa Corte era chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 8, primo comma, della L. n. 382 del 1978, in relazione all’art. 39, letto in sistema con l’art. 52, terzo comma, Cost. La disposizione, abrogata a seguito dell’adozione del D.Lgs. n. 66 del 2010, era sostanzialmente identica a quella attuale, prevedendo che “I militari non possono esercitare il diritto di sciopero, costituire associazioni professionali a carattere sindacale, aderire ad altre associazioni sindacali”, e questa Corte, nel dichiarare non fondata la questione, ha affermato la sussistenza di peculiari esigenze di “coesione interna e neutralità”, che distinguono le Forze armate dalle altre strutture statali; ha rilevato in particolare che l’art. 52, terzo comma, Cost. “parla di “ordinamento delle Forze armate”, non per indicare una sua (inammissibile) estraneità all’ordinamento generale dello Stato, ma per riassumere in tale formula l’assoluta specialità della funzione”.

13.3.− Le specificità dell’ordinamento militare giustificano, pertanto, la esclusione di forme associative ritenute non rispondenti alle conseguenti esigenze di compattezza ed unità degli organismi che tale ordinamento compongono.

13.4.− Analogamente, l’inammissibilità di tale limite non può desumersi dalla disposizione della Carta sociale europea, la cui formulazione − come si è visto − non si discosta da quella convenzionale.

Né in senso contrario può essere addotta la decisione assunta dal Comitato europeo dei diritti sociali il 27 gennaio 2016 e pubblicata il 4 luglio 2016, Conseil Européen des Syndicats de Police (CESP) contro Francia (reclamo n. 101/2013).

A differenza della CEDU, la Carta sociale europea non contiene una disposizione di effetto equivalente all’art. 32, paragrafo 1, secondo cui “La competenza della Corte si estende a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli che siano sottoposte a essa …”. A sua volta, il Protocollo addizionale alla Carta sociale europea, che istituisce e disciplina il sistema dei reclami collettivi, non contiene una disposizione di contenuto analogo all’art. 46 della CEDU, ove si afferma che “Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti”, disposizione che fonda l’autorità di res iudicata delle sentenze rese dalla Corte EDU relativamente allo/agli Stato/Stati in causa ed alla controversia decisa dalla Corte stessa.

Pertanto, rispetto alle decisioni del Comitato europeo dei diritti sociali, non può trovare applicazione quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 348 del 2007: “Poiché … le norme della CEDU vivono nell’interpretazione che delle stesse viene data dalla Corte europea, la verifica di compatibilità costituzionale deve riguardare la norma come prodotto dell’interpretazione, non la disposizione in sé e per sé considerata”.

Nel contesto dei rapporti così delineati fra la Carta sociale europea e gli Stati sottoscrittori, le pronunce del Comitato, pur nella loro autorevolezza, non vincolano i giudici nazionali nella interpretazione della Carta, tanto più se − come nel caso in questione − l’interpretazione estensiva proposta non trova conferma nei nostri princìpi costituzionali.

14.− Non è pertanto fondata la questione di legittimità costituzionale nella parte che investe il divieto di “aderire ad altre associazioni sindacali”, divieto dal quale consegue la necessità che le associazioni in questione siano composte solo da militari e che esse non possano aderire ad associazioni diverse.

15.− La corretta attuazione della disciplina costituzionale della materia impone a questa Corte un’ulteriore verifica; difatti i valori che essa sottende sono di tale rilevanza da rendere incompatibile con la disciplina stessa un riconoscimento non specificamente regolamentato del diritto di associazione sindacale. La previsione di condizioni e limiti all’esercizio di tale diritto, se è infatti facoltativa per i parametri internazionali, è invece doverosa nella prospettiva nazionale, al punto da escludere la possibilità di un vuoto normativo, vuoto che sarebbe di impedimento allo stesso riconoscimento del diritto di associazione sindacale.

Occorre dunque accertare se tale evenienza nella specie si verifica, ovvero se sono rinvenibili nell’ordinamento disposizioni che, in attesa dell’intervento del legislatore, siano idonee a tutelare questi valori.

16.− Quanto alla costituzione delle associazioni sindacali, trova allo stato applicazione la non censurata disposizione dell’art. 1475, comma 1, del D.Lgs. n. 66 del 2010, secondo cui “La costituzione di associazioni o circoli fra militari è subordinata al preventivo assenso del Ministro della difesa”. Si tratta di una condizione di carattere generale valida a fortiori per quelle a carattere sindacale, sia perché species del genere considerato dalla norma, sia per la loro particolare rilevanza.

In ogni caso gli statuti delle associazioni vanno sottoposti agli organi competenti, e il loro vaglio va condotto alla stregua di criteri che senza dubbio è opportuno puntualizzare in sede legislativa, ma che sono già desumibili dall’assetto costituzionale della materia.

A tal fine fondamentale è il principio di democraticità dell’ordinamento delle Forze armate, evocato in via generale dell’art. 52 Cost., che non può non coinvolgere anche le associazioni fra militari.

Sotto altro profilo tale principio viene in evidenza nella prospettiva del personale interessato, quale titolare della libertà di associazione sindacale sancita dal primo comma dell’art. 39 Cost.: l’esercizio di tale libertà è infatti possibile solo in un contesto democratico.

Altresì rilevante è il principio di neutralità previsto dagli artt. 97 e 98 Cost. per tutto l’apparato pubblico, e valore vitale per i Corpi deputati alla “difesa della Patria”; anch’esso ha come necessario presupposto il rigoroso rispetto della democrazia interna all’associazione.

16.1.− La verifica dell’esistenza di questi requisiti comporta in particolare l’esame dell’apparato organizzativo, delle sue modalità di costituzione e di funzionamento; ed è inutile sottolineare che tra tali modalità spiccano per la loro rilevanza il sistema di finanziamento e la sua assoluta trasparenza.

17.− Quanto ai limiti dell’azione sindacale, va anzitutto ricordato il divieto di esercizio del diritto di sciopero. Si tratta indubbiamente di una incisione profonda su di un diritto fondamentale, affermato con immediata attuazione dall’art. 40 Cost. e sempre riconosciuto e tutelato da questa Corte, ma giustificata dalla necessità di garantire l’esercizio di altre libertà non meno fondamentali e la tutela di interessi costituzionalmente rilevanti (sentenza n. 31 del 1969).

18.− Con riguardo agli ulteriori limiti, invece, è indispensabile una specifica disciplina legislativa. Tuttavia, per non rinviare il riconoscimento del diritto di associazione, nonché l’adeguamento agli obblighi convenzionali, questa Corte ritiene che, in attesa dell’intervento del legislatore, il vuoto normativo possa essere colmato con la disciplina dettata per i diversi organismi della rappresentanza militare e in particolare con quelle disposizioni (art. 1478, comma 7, del D.Lgs. n. 66 del 2010) che escludono dalla loro competenza “le materie concernenti l’ordinamento, l’addestramento, le operazioni, il settore logistico-operativo, il rapporto gerarchico-funzionale e l’impiego del personale”. Tali disposizioni infatti costituiscono, allo stato, adeguata garanzia dei valori e degli interessi prima richiamati.

19.− Conclusivamente, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1475, comma 2, del D.Lgs. n. 66 del 2010, in quanto prevede che “I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali” invece di prevedere che “I militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali”.

20.− Restano assorbiti i profili di censura relativi all’art. 14 della CEDU.

P.Q.M.

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1475, comma 2, del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), in quanto prevede che “I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali” invece di prevedere che “I militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali”.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 aprile 2018.

Giorgio LATTANZI, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2018.