mobbing: necessaria la prova della volontà di ” aggressione” da parte della linea gerarchica

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 Un maresciallo di prima classe dell’Aereonautica militare veniva colpito, con una violenta testata, dal suo superiore Primo Maresciallo il quale, condannato penalmente in primo e secondo grado, ricorreva in cassazione, continuando a svolgere le proprie funzioni lavorative. Successivamente, il maresciallo di prima classe veniva trasferito internamente dal nucleo amministrativo al servizio rifornimenti, conservando la stessa qualifica: quindi, rifiutava di andare, in missioni, da lui considerate disagiate, come invece richiesto dal tenente colonnello che, peraltro, disponeva un accertamento per mancato rientro in caserma dopo un periodo di malattia dello stesso maresciallo di prima classe. Quest’ultimo, inoltre, affermava di essere stato minacciato, dal medesimo tenente colonnello, di ricevere una sanzione disciplinare in caso di esito favorevole del ricorso in cassazione presentato dal Primo Maresciallo: inviava, infine, degli esposti ai propri superiori gerarchici senza, però, ricevere alcuna risposta. Così ricorreva in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni da mobbing.
osserva al riguardo l’avvocato militare”
” che per mobbing si intende un insieme di condotte uniformi e protratte nel tempo con le caratteristiche della persecuzione finalizzata all’emarginazione del dipendente (Cass., Sez. lavoro, 10 febbario 2014, n. 2885) e la tutela richiesta sia di natura demolitoria e non meramente monitoria: non è, cioè, sufficiente il trattamento in peius in quanto è necessario il dolo specifico dell’agente. Così, non si configura alcun mobbing in caso di scelte organizzative che, anche se sgradite al dipendente, siano funzionali ai fini da perseguire con l’attività lavorativa (Cass., Sez. lavoro, 25 luglio 2013, n. 18093)”.
ancora….. “il risarcimento del danno è strettamente e direttamente collegato all’esistenza di un contesto di specifiche inadempienze, da parte del datore, agli obblighi scaturenti dal rapporto di lavoro: a tal fine, rilevano anche comportamenti omissivi, contraddittori, dilatori nonché atti in violazione di norme su cui non sussistano incertezze interpretative ovvero la reiterazione di atti viziati da irregolarità anche meramente formali dal cui insieme emerga una grave alterazione del rapporto sinallagmatico tale da determinare un nocumento all’immagine professionale ed alla salute del dipendente (Cons. di Stato, Sez. VI, 15 aprile 2008, n. 1739).
Appare, quindi, comprensibile l’orientamento del T.A.R. secondo cui, in ambito di libertà economica ed etica e di risarcimento del danno è necessaria la prova dell’esistenza di un disegno persecutorio del superiore, ravvisabile in comportamenti materiali o provvedimenti finalizzati alla volontaria ed organica vessazione nonché discriminazione, con connotazione emulativa e pretestuosa (Cons. di Stato, Sez. V, 6 maggio 2008, n. 2015 e Cass., Sez. lavoro, 6 marzo 2006, n. 4774).