Minaccia ad inferiore anche se non vi è diretta dipendenza del militare: insussistenza causa di esclusione del reato ex art. 199 c.p.m.p.

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Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-10-2010) 18-11-2010, n. 40811
Motivi della decisione
3. – L’impugnazione proposta nell’interesse del M. è basata su motivi infondati e va quindi rigettata. Tutte le censure sviluppate in ricorso, nelle loro poliformi articolazioni, si risolvono, infatti, nella sostanziale riproposizione nel presente giudizio di legittimità, di argomentazioni difensive già esaminate e disattese dai giudici di merito con un apparato motivazionale che, sebbene scabro deve ritenersi comunque esente da vizi logici o giuridici.
Incongrue si rivelano in particolare, le deduzioni difensive del ricorrente, che muovendo dal pur fondato rilievo che le frasi minacciose nei confronti dell’inferiore in grado non erano state pronunciate dall’imputato, come ipotizzato inizialmente, al fine di occultare ulteriori illeciti a lui contestati, risultati in effetti insussistenti, intendono da ciò far discendere anche l’ulteriore circostanza, esclusa dai giudici di merito con valutazione sintonica, che il fatto contestato sarebbe stato commesso per cause estranee al servizio e alla disciplina militare.
Ed invero ineccepibilmente il giudice di secondo grado, sia pure attraverso una non illegittima motivazione per relationem, ha ritenuto che nel caso di specie non ricorressero gli estremi della causa di esclusione del reato prevista dall’art. 199 c.p.m.p., secondo cui il reato di minaccia non è configurabile quando il fatto illecito è commesso per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, ove si consideri che le frasi ingiuriose pronunciate dal ricorrente, come evidenziato dal giudice di primo grado, “si riferivano pur sempre a vicende attinenti al servizio (asserita risposta impropria di R. o suo mancato saluto in luogo militare, ovvero frasi volgari dirette al M. nell’ambito del servizio e notate da altri)”.
Ciò che invero ha rilievo, per stabilire se le frasi proferite dal maresciallo M. all’indirizzo del caporale R., si possano considerare lesive dell’interesse tutelato dal reato di minaccia ad inferiore con ingiuria, contrariamente a ciò che si sostiene nel ricorso, non è affatto la circostanza che le stesse non fossero dirette a costringere l’inferiore a commettere un atto contrario ai propri doveri, e neppure il rilievo che le frasi ingiuriose siano state comunque pronunciate sul comune luogo di servizio del soggetto attivo del reato e della persona offesa (lo stabilimento balneare militare), quanto la circostanza, riconosciuta anche in ricorso, che le frasi incriminate sono state pronunciate in relazione ed a causa di un comportamento tenuto in servizio dall’inferiore, ritenuto censurabile disciplinarmente ed offensivo. In tale contesto, giustamente la Corte militare di appello ha ritenuto, in sostanziale adesione all’interpretazione dell’art. 199 c.p.m.p. data dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 367/2001 n. 45, che la frase minacciosa pronunciata non potesse ritenersi del tutto avulsa dal contesto militare e 2. priva di collegamenti con il rapporto gerarchico inerente il servizio svolto dall’autore del fatto, sebbene il caporale R., come dedotto, non fosse alle dirette dipendenze del maresciallo M..
4. Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 c.p.p., in ordine alla spese del presente procedimento.