l’uso del ” tu” non costituisce per il militare inferiore in grado reato di insubordinazione

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La vicenda affrontata di recente dalla Cassazione riguarda il caso di un graduato che si rivolgeva al superiore – un Ufficiale – dandogli del “tu”.
La Cassazione si è dovuta pronunciare sulla sussistenza – nel caso in oggetto – del reato militare di ingiuria  con insubordinazione.
Sul punto ormai anche le ragioni di ” specialità” dell’ordinamento militare ( anche nei rapporti gerarchici) sembrano cedere il passo a pronunce maggiormente ancorate all’evoluzione sociale e d al mutamento dei costumi ove, ad esempio, progressivamente sembra scomparire l’uso della terza persona singolare ( il” lei”).
La Cassazione ha lucidamente puntualizzato che le frasi così proferite «non sono obiettivamente ingiuriose, spregiative, mortificanti, avvilenti e, dunque, lesive del decoro o dell’onore e, quindi, del patrimonio morale del superiore, del quale non risulta nemmeno leso il prestigio, non avendone l’imputato respinto l’autorità, la potestà di impartirgli ordini né avendo contestato la catena di comando espressa dal rapporto gerarchico con un comportamento di aperta ribellione».
L’interpretazione giurisprudenziale, come abbiamo già ricordato, non può non tener conto del mutato approccio a determinate realtà, anche da parte del mondo militare, ove, fortunatamente, risulta ormai pienamente acquisita la consapevolezza del fatto che il prestigio di un superiore deve essere garantito dal suo personale carisma e non già dall’osservanza di formule di stile.
Proprio alla luce di tali considerazioni è stato  respinto un ricorso incentrato sull’affermazione in base alla quale il semplice ricorso all’uso della seconda persona singolare sarebbe risultato idoneo a ledere l’ascendente morale necessario per l’esercizio dell’autorità del grado e delle funzioni di comando.