La messa alla prova in sede penale non ha efficacia nel giudizio disciplinare sul fatto

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Spesso si sente che il militare imputato per un qualsivoglia reato militare od ordinario opti – unitamente al suo difensore – ove lo consenta la legge ( reato punito con pena non superiore ad anni quattro di reclusione) per l’istituto della c.d. ” messa alla prova per adulti”.

Quali sono i vantaggi di una tale scelta anche in relazione al successivo giudizio disciplinare?

Di recente si è pronunciato sulla questione ( riguardava un carabiniere ) anche il Tar dell’Emilia Romagna, di seguito i passaggi essenziali e centrali della sentenza:

“La sentenza di non doversi procedere per esito positivo della messa alla prova non ha nessuna efficacia nel giudizio disciplinare poiché l’art. 653 c.p.p. non la contempla, non solo perché trattasi di norma entrata in vigore anteriormente alla previsione dell’istituto della messa alla prova per l’adulto ( ben poteva essere modificato nel 2014 quando fu approvata la legge che inseriva il nuovo istituto all’interno del processo penale ), ma per il fatto che la messa alla prova presuppone una responsabilità dell’imputato che chiede di definire la vicenda penale prescindendo da un accertamento processuale pieno. In ogni caso si tratta di una sentenza che ha lo scopo di verificare il buon esito della messa alla prova e non la responsabilità penale dell’imputato.

Da ciò deriva che – per la ricostruzione del fatto – la P.a. dovrà necessariamente procedere ad una ricostruzione autonoma del medesimo e così facendo ad un giudizio nuovo .

In questi termini l’istituto della messa alla prova – salve valutazioni caso per caso – pare offrire maggiori garanzie nel successivo giudizio disciplinare rispetto – ad esempio – ad un’ipotesi di patteggiamento o di giudizio abbreviato.