Il militare denunciato e poi assolto transita in s.p.e. : illegittima l’esclusione

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Il caso di un militare denunciato per finalità ( ritorsive) indagato e poi assolto all’esito del giudizio penale.

Purtroppo nel frattempo lo stesso era stato escluso dal transito in spe essendo imputato al momento dell’apertura del bando di concorso.

L’esito è stato positivo ma si è reso necessario il ricorso al Giudice amministrativo.

Ecco alcuni passi – tra i più significativi – della sentenza.

 

va ricordato l’orientamento giurisprudenziale consolidato volto ad attribuire rilevanza alla sentenza di assoluzione, anche se successivamente intervenuta “in base ad una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 635 comma 1 lettera g) del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66” che induce a ritenere “irragionevole e sproporzionata l’esclusione del ricorrente dalla selezione indicata in epigrafe, tenuto conto che seppure ex post è venuto meno ogni formale motivo ostativo alla sua partecipazione, con effetto retroattivo” (Consiglio di Stato, IV, n. 965/2015; cfr. T.A.R. Lazio, I bis, 19/11/2015 n. 13098, ma vedi anche n. 9953/2016); orientamento che è prevalso su altre, sporadiche decisioni dello stesso giudice di appello, nonché di questa Sezione, che pervenivano a soluzioni opposte in considerazione del principio della par condicio competitorum e considerato che la legittimità del provvedimento va valutata alla stregua delle circostanze di fatto e di diritto esistenti al momento della sua adozione, sicchè la successiva assoluzione costituisce une mero dato fattuale che semmai può essere preso in considerazione per disporre la revoca, per fatti favorevoli sopravvenuti, del provvedimento di esclusione, ma non l’annullamento del provvedimento di esclusione privo di vizi di legittimità

(vedi, tra tante, TAR Lazio, Sez. I bis, sentenza n. 770 del 23.1.2013 e 19 maggio 2015 n. 7277). In particolare con la sentenza n. 10943/2015 la Sezione approfondiva la questione della valenza della sentenza di assoluzione – che determina la sopravvenuta perdita della valenza ostativa degli atti di imputazione penale – riepilogando i tre diversi orientamenti giurisprudenziali volti a riconoscere diversi effetti alla sentenza di assoluzione a seconda delle diverse fasi in cui questa sia intervenuta, in particolare ricordando quello che riteneva irrilevante la sentenza di assoluzione intervenuta in epoca successiva all’adozione del provvedimento espulsivo, la cui legittimità deve essere valutata alla stregua delle circostanze di fatto esistenti al momento della situazione; deve quindi ritenersi legittimo se, a quella data, il concorrente manteneva la condizione di imputato ((TAR Lazio, Sez. I bis, sentenza n. 770 del 23.1.2013 e, da ultimo, TAR Lazio, I bis, 19 maggio 2015 n. 7277). La sentenza in parola si discostava dall’orientamento giurisprudenziale, inaugurato dal Cons. St., Sez. IV, n. 965 del 26/02/2015 – che, allora pareva costituire una isolata decisione – osservando che “pur considerando l’intento garantistico del giudice di appello sotteso all’orientamento sopra richiamato, che si colloca sul cruciale crinale della trasformazione del processo amministrativo da giudizio sulla legittimità dell’atto a giudizio sul rapporto – che trova numerosi precedenti nella materia del permesso di soggiorno degli stranieri (settore in cui però la rilevanza giuridica dei fatti sopravvenuti trova espressa “copertura legislativa” nell’art. 5 co. 5 del D.Lgs. n. 286/98) – ritiene di non poter aderire a tale (per ora isolato) precedente. In tal modo, infatti, si finirebbe per snaturare il giudizio di legittimità sul provvedimento amministrativo – così come è conosciuto nel nostro ordinamento giuridico – e trasformare i TAR in organi di amministrazione attiva in cui l’impugnativa del provvedimento costituisce un mero pretesto per stabilire l’esatta posizione giuridica del ricorrente, ben oltre la porzione di rapporto esaminata dall’Amministrazione in stridente contrasto con il divieto posto dall’art. 34 CPA. Vero è che la normativa che disciplina il procedimento in parola “necessita di una lettura costituzionalmente orientata, al fine di poterne esplicitare al meglio la ratio” e che “l’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso – come nella specie – sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme”. Ciononostante, il giudice amministrativo non può far altro che applicare quelle norme – oppure, se le ritenga contrarie ai principi ed ai valori costituzionali, sollevare la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale – non potendo disapplicarle (né pretendere la loro disapplicazione da parte dell’autorità amministrativa annullando i provvedimenti espulsivi adottati sulla base dell’automatismo “formalistico” del riscontro della sottoposizione del candidato a procedimento penale) in nome dei richiamati principi di ragionevolezza e proporzionalità (che trovano applicazione solo nel caso dell’esercizio della discrezionalità e quindi non sono invocabili nel caso di specie in cui l’attività amministrativa ha natura tipicamente “vincolata” essendo già “rigidamente” disciplinata dagli artt. 635 e 638 del d.lo n. 66/2010)” In quell’occasione, pertanto, la Sezione aveva ritenuto che la sentenza di assoluzione pronunciata dopo l’adozione del decreto di esclusione dalla procedura concorsuale non potesse operare retroattivamente con l’effetto di far venir meno “ora per allora” il difetto del requisito prescritto dal bando e che pertanto non valesse ad inficiare la legittimità del provvedimento di esclusione adottato precedentemente; potendosi semmai configurare come causa di “illegittimità sopravvenuta” atta a giustificare l’eliminazione dell’atto ad opera della stessa Amministrazione ma non l’annullamento giurisdizionale del provvedimento in esame la cui legittimità deve essere valutata alla stregua delle circostanze esistenti al momento della sua adozione (TAR Lazio, Sez. I bis n. 10943/2015; confermata da Cons. St., Sez. IV, n. 629/2017 del 14/02/2017).

Successivamente, tuttavia, la Sezione ha ritenuto di adeguarsi all’orientamento interpretativo del Consiglio di Stato che nel frattempo si era venuto consolidando (T.A.R. Lazio, I bis, 19/11/2015 n. 13098), valorizzando anche il fatto che talvolta l’interessato, magari denunciato in via strumentale e con effetti ritorsivi, veniva prosciolto con formula piena tardivamente a causa di lungaggini processuali (vedi, in tal senso, facendo applicazione del principio secondo cui “la durata del processo penale non può andare a danno dell’imputato innocente”) che merita di essere applicato nel caso in esame, in cui, all’esito del procedimento penale, il ricorrente è stato assolto con formula piena (TAR Lazio, sez. I bis, n. 5027/2016).