diffamazione militare e richiesta del C.te di Corpo: profili di irragionevolezza ed incostituzionalità

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Il reato di diffamazione nel c.p. comune costituisce una fattispecie contro la libertà individuale ed in particolare contro l’onore della persona. L’onore altro non è che una forma di espressione della personalità dell’individuo tutelata dalla Costituzione. Nel codice penale militare di pace il reato di diffamazione tra militari e punito con la pena sino a sei mesi di reclusione. Per esso è pertanto previsto, ai fini della procedibilità, la richiesta del C.te di Corpo , al quale in sostanza è subordinata la tutela dell’onore della persona offesa non legittimata a proporre querela come un ordinario cittadino. La Corte Costituzionale, già chiamata a pronunciarsi sul punto, ha chiarito che le esigenze di tutela del privato, nell’ordinamento militare, devono cedere il passo alla tutela della coesione delle FF.AA., con ciò giustificandosi la scelta di demandare al C.te di Corpo la procedibilità del reato in oggetto. Soltanto nel caso di diffamazione aggravata (es. attibuzione di un fatto determinato ) si giustifica una procedibilità di ufficio del reato di diffamazione sfuggendo alla precondizione della richiesta del C.te di Corpo. Tale sistema ad oggi non appare più compatibile con i principi della nostra Carta Costituzionale, ed anche i tentativi della Corte Costituzionale di salvaguardarlo appaiono conferenti unicamente ad esigenze di salvaguardia dello “status quo” , che sono radicalmente in contrasto con i diritti fondamentali dell’individuo. La questione, speriamo, sia risolta definitivamente dal nuovo codice penale militare di pace in gestazione che, sembra aver recepito le indicazioni dei giuristi più “illuminati”, e refrattari all’idea di un ordinamento militare “chiuso” alla società civile. Un militare mi riferisce di essere stato diffamato e di non aver interesse ad un’azione autonoma in sede civile nei confronti del responsabile che, invece, vorrebbe punito in sede penale militare. Gli rispondo così: la scelta di punirlo compete unicamente al suo comandante (sic !) a meno che il P.m. non contesti il reato di diffamazione aggravata, la qual cosa tuttavia nel caso di specie appare difficile.