Un militare della Guardia di Finanza è oggetto di indagine penale da parte della Procura Militare per aver consentito ad un contribuente infedele, mediante delle informazioni e dei consigli, di sottrarre al fisco ingenti somme di denaro trasferendole in società site in paradisi fiscali. Al riguardo, posto che non vi è prova dell’avvenuta ricezione del compenso per l’illecita pattuizione, intende sapere dall’Avvocato militare se può integrare il delitto di frode alla finanza, di cui all’art. 3 l.1383/41 l’aver solo raggiunto l’accordo criminoso: infatti l’unica prova in possesso degli investigatori è quella contenuta nelle intercettazioni telefoniche dove, appunto, emerge tale criminosa pattuizione.
Al riguardo è opportuno richiamare l’orientamento dei giudici militari sul punto, ed in particolare della Cassazione penale che si è pronunciata su questione analoga:
“Questa Corte ha affermato che “Per la configurabilità del delitto di collusione di cui alla L. 9 dicembre 1941, n. 1383, art. 3, non è necessario che il finanziere eserciti, con attualità, un determinato servizio d’istituto, funzionale alla frode fiscale che forma oggetto dell’accordo criminoso, ma è sufficiente che l’agente rivesta la qualità di militare della Guardia di Finanza, perchè è solo ad essa che fa riferimento l’obbiettività giuridica della norma incriminatrice”. (Cass., sez. 6^, 10/06/1998, Ferrato ed altri, 213049)”.
La norma de qua, infatti, sanziona la condotta del militare della Guardia di Finanza “che … collude con estranei per frodare la finanza”. “Integra il reato di collusione di militare della guardia di finanza di cui alla L. 9 dicembre 1941, n. 1383, art. 3, qualsiasi accordo fra finanziere e terzo per effetto del quale sia leso l’interesse primario dello stato alla normalità ed alla sicurezza delle entrate indispensabili per il finanziamento e per l’esistenza dello stato stesso. Trattasi, quindi, di reato formale che si perfeziona per il solo fatto del raggiunto accordo per frodare la finanza, per cui una volta che un siffatto accordo fra finanziere e terzo sia concluso, il reato è perfetto in ogni suo elemento, in quanto l’intervenuto incontro fra le due volontà, di per sè, comporta la rottura del rapporto di fiducia tra il militare della guardia di finanza e la pubblica amministrazione e, conseguentemente, la lesione del particolare interesse protetto dalla norma”. (Cass., sez. 6^ 22/04/1989, Morelli, 182575).
Il bene protetto è la regolarità del gettito fiscale, nonchè la disciplina del corpo della Guardia di finanza. (Conf. Cass. sez. 1^, 2/03/1999, P.M. in proc. Zuin, 213291).
La ratio è ravvisabile nel generico dovere di fedeltà dell’agente, connessa al suo status di finanziere, svincolata dal concreto esercizio di funzioni tipiche. “La condotta prevista dalla L. 9 dicembre 1941, n. 1383,art. 3, che configura la collusione tra il privato e l’ufficiale della Guardia di finanza, si realizza in presenza di ogni tipo di intesa, libera o forzata, purchè realizzata al fine di frodare la finanza “.
(Cass., sez. 1^, 16/06/2004, Cerciello, 228853).