atti di ” sessismo” tra colleghi: è configurabile l’ingiuria militare

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Come recentemente affermato da una fondamentale sentenza della Corte Costituzionale ( che disquisiva sulla legittimità del permanere del reato di ingiuria militare – art. 226 c.p.m.p. – nella nostra legislazione) le offese ” maschiliste”  costituiscono ad oggi fatti di rilevanza penale .

Nel caso di specie l’offesa rivolta dall’Ufficiale alla collega graduata era invero stata particolarmente grave attesa l’allusione esplicita ad atti sessuali.

Sul punto la Corte ha chiarito l’attinenza dei fatti alla disciplina ed al servizio.

Si riportano i passaggi salienti senza ulteriori commenti….

” Peraltro…….., la civile convivenza tra militari, soprattutto (ma non solo) nei luoghi militari, costituisce un presupposto essenziale per la ricordata coesione delle Forze armate. Considerazioni di fatto, ma non del tutto indifferenti ai fini dell’esito di questo giudizio di legittimità costituzionale, costringono inoltre a rilevare sia il permanere di episodi di “nonnismo“, pur dopo l’eliminazione della leva obbligatoria, sia l’insorgenza di ingiurie di natura sessista, a seguito dell’accesso delle donne al servizio militare.

Proprio da questo punto di vista, è importante osservare come i reati per i quali è stabilita la pena della reclusione militare non superiore nel massimo a sei mesi – fra i quali l’ingiuria di cui all’art. 226 cod. pen. mil. pace – sono puniti non a querela, bensì su richiesta del comandante di corpo, sulla base di quanto disposto dall’art. 260 dello stesso codice.

La ratio di tale disposizione, ha più volte osservato questa Corte, risiede nella opportunità di attribuire al comandante di corpo una facoltà di scelta tra l’adozione di provvedimenti di natura disciplinare e il ricorso all’ordinaria azione penale, sul presupposto che vi siano casi in cui, per la scarsa gravità del reato, l’esercizio incondizionato dell’azione penale può causare al decoro dell’istituzione militare un pregiudizio proporzionalmente maggiore di quello prodotto dal reato stesso (sentenze n. 449 del 1991, n. 114 del 1982, n. 189 del 1976, n. 42 del 1975; ordinanze n. 186 del 2001, n. 562 e n. 410 del 2000, n. 396 del 1996).

Si deve, ora, aggiungere che l’eventuale accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, determinando l’assorbimento delle vicende ingiuriose nella sfera civilistica e “privata” dei contendenti, avrebbe tra i suoi non trascurabili effetti anche quello di impedire al comandante di corpo di chiedere il procedimento penale, a tutela di una vittima (dell’ingiuria) inserita in un contesto caratterizzato da rapporti di natura gerarchica. Un accoglimento, si osservi, che potrebbe persino provocare l’effetto di privare il suddetto comandante dell’opportunità di avere contezza dei fatti accaduti, presupposto per avviare almeno la (in quell’ipotesi residua) azione disciplinare.

– Quanto alla censura relativa all’asserita violazione dell’art. 52 Cost. (e in particolare del suo terzo comma, come s’è detto), è sufficiente osservare che il mantenimento dell’ingiuria tra militari nell’area del penalmente rilevante, pur quando commessa per cause estranee al servizio o alla disciplina militare, trova ragionevole fondamento nelle, appena ricordate, basilari esigenze di coesione dei corpi militari. Sotto questo profilo, tale soluzione non trasmoda in un contrasto con lo spirito democratico cui va uniformato l’ordinamento delle Forze armate (sentenza n. 45 del 1992 e ordinanza n. 322 del 2013).