Una recentissima pronuncia della Suprema Corte in materia penale riapre il dibattito ( mai sopito) in materia di ” nonnismo” in ambito militare e consenso della vittima.
Nel caso di specie la vittima era stata sottoposta a percosse con modalità degradanti per la sua persona e comunque tali da lasciare dei segni documentati dalle immagini.
La vittima aveva “acconsentito” a tale trattamento sull’assunto di doversi sottomettere ad una tradizione militare per fortificare il carattere dei militari: le predette percosse erano per altro state video riprese e fatte circolare sui telefonini di altri commilitoni con l’applicativo di di Whatsapp.
Nel confermare le sentenze di condanne di primo e secondo grado la Suprema Corte ha statuito la configurabilità dei reati militari di percosse, diffamazione ed ingiuria ( artt. 222,226 e 227 c.p.m.p.) aggravate dal grado posseduto dagli imputati .
Il principio di diritto fondamentale – nella richiamata sentenza – è quello della irrilevanza del consenso della vittima – trattandosi di atti ( quelli di nonnismo) sempre degradanti ed umilianti e caratterizzati da una particolare gravità.
Gli imputati nel caso di specie non solo non hanno vista riconosciuta la natura ” goliardica” delle predette condotte ma non hanno neppure potuto beneficiare della causa di non punibilità della ” particolare tenuità del fatto” ( per la natura particolarmente grave del reato associato ad inammissibili pratiche di nonnismo).
Una sentenza davvero spartiacque che segna un passo avanti decisivo nel contrasto anche giudiziario al fenomeno – mai debellato – del ” nonnismo” e della violenza in ambito militare.