Un ufficiale di forza armata è raggiunto da un avviso di garanzia della Procura Militare.
In tale provvedimento si ipotizza che lo stesso ” nella qualità di capo servizio amministrativo” abbia consentito l’imbarco di prodotti o altre merci su aereomobile militare per finalità estranee al servizio istituzionale.
L’indagine in particolare nasceva da un’ispezione che rilevava l’esistenza , a bordo, di beni non catalogati o inventariati come di pertinenza dell’amministrazione.
Sospettando una vendita ” in nero” per conto di ditte terze della predetta merce, il P.m. militare notificava il predetto provvedimento.
Recatosi dall’avvocato militare l’ufficiale intende avere consigli su tale, poco abituale, figura di reato.
In particolare, intende avere contezza, se la finalità di profitto costituisca o meno presupposto del reato, avendo consentito tale commercio per ripianare le precedenti irregolarità di gestione e , per coprire gli ammanchi scoperti al momento della presa in carico del servizio.
Sul punto la linea difensiva sembra richiamare quanto già conosciuto in materia di giurisprudenza di abuso di ufficio ” per distrazione”, allorchè si riteneva che la deviazione dai fini propri del servizio ( anche in contrasto con la legge) non integrasse reato allorquando perseguisse comunque finalità pubbliche ( es. riduzione del danno erariale).
Nel caso di specie in altro precedente giurisprudenziale la Suprema Corte ha ritenuto che per integrare il reato in questione sia sufficiente il solo imbarco ” arbitrario” di merci o persone senza che rilevi il fine o meno di profitto della condotta.
Sostenere la non colpevolezza dell’ufficiale, dunque, sarà un percorso tortuoso che necessariamente dovrà prefigurare un cambiamento di giurisprudenza.