abuso di autorità, atti di “iniziazione” ( anche sessuali) e consenso della vittima

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Un caso di qualche anno fa – prima dell’abolizione della leva obbligatoria – torna prepotentemente di attualità. Un militare (graduato) denunciò di essere stato oggetto delle attenzioni omosessuali del Comandante. In particolare, insieme ad altri militari ( che non avevano denunciato) era stato indotto a sottoporsi ad una serie di test a sfondo sessuale e ad una serie di servizi fotografici allusivi a sfondo chiaramente sessuale.  Il dibattimento aveva dimostrato che addirittura ( c.d. sindrome di “stoccolma) tra il Comandante ed alcune delle reclute vi era stato un vero e proprio consenso a tali atti di iniziazione. Anche in altri analoghi processi aventi ad oggetto episodi di ” nonnismo” gli imputati si difesero invocando la scriminante del consenso dell’avente diritto. La materia del diritto penale militare – ed in particolare i reati contro il servizio e la disciplina quali appunto l’abuso di autorità con violenza o minaccia – non contemplano la possibilità di disporre di interessi pubblici. In questi casi infatti i tribunali militari non hanno riconosciuto alcun valore al consenso del militare subordinato. La tematica dell’abuso di autorità – ritiene chi scrive – è destinata a tornare di attualità in tutti quei casi in cui , la violenza esercitata dal superiore per motivi – comunque riconducibili alla disciplina ed al servizio – si manifesti anche con atti di ” iniziazione” sessuale ( magari eterosessuale) in relazione ai quali non si potrà certo invocare il consenso dell’avente diritto. Peraltro in tali casi, potendosi ragionevolmente ritenere che verrà contestato dal P.m il reato di violenza sessuale ( anche in forma lieve), questo e la giurisdione ordinaria, finirà inevitabilmente – come reato più grave – per attrarrre ogni ipotesi di reato militare ” svuotando” ulteriormente i tribunali militari.