Nel caso di cui ci si occupa la sentenza richiama un precedente attinente ad un caso perfettamente identico all’odierno, in cui i giudici militari hanno ritenuto che integrasse la condotta del reato in parola il rifiuto del militare di sottoscrizione, per presa d’atto, del documento che attesta l’avvenuta inflizione a suo danno della sanzione disciplinare della consegna, per la quale il Regolamento di disciplina militare prevede la comunicazione per iscritto al soggetto punito .
Il principio enunciato non è più attuale ed il sergente incriminato di disobbedienza militare ex art. 173 c.p.m.p. è andato assolto.
Nell’occasione, il giudice militare ( rivedendo anni di consolidata giurisprudenza) ha avuto modo di chiarire che commette il delitto di disobbedienza il militare chi viene meno, non ad un qualsivoglia ordine impartito dal superiore, ma solo a quell’ordine che sia funzionale e strumentale alle esigenze del servizio o della disciplina.
“Il reato in parola non si sostanzia, dunque, nella disobbedienza ad un ordine qualsiasi proveniente da un superiore gerarchico, in quanto solo la disobbedienza a un ordine funzionale e strumentale alle esigenze del servizio o della disciplina, e comunque non eccedente i compiti di istituto, integra gli estremi del modello legale di cui al citato art. 173”.
Ciò, in quanto la “tutela apprestata dalla norma censurata non è il prestigio del superiore in sè e per sè considerato, ma il corretto funzionamento dell’apparato militare, in vista del conseguimento dei suoi fini istituzionali, così come puntualmente messo in rilievo da quella giurisprudenza di legittimità e di merito che ha sottolineato che l’ordine deve sempre avere fondamento nell’interesse del servizio o della disciplina e non può trovare causa in pretese di carattere personale o in contrasti di natura privata tra superiore e inferiore” (così in parte motiva la sentenza n. 39/2011 della Corte Costituzionale).
7.1 Al momento del fatto ((OMISSIS)) vigeva, invero, la disciplina dettata dal D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 che, in relazione al procedimento disciplinare, prevede, all’art. 1398, comma 4, che “la decisione dell’autorità competente è comunicata verbalmente senza ritardo all’interessato anche se l’autorità stessa non ritiene di far luogo all’applicazione di alcuna sanzione” e al comma 5, stabilisce che “al trasgressore è comunicato per iscritto il provvedimento sanzionatorio contenente la motivazione, salvo che sia stata inflitta la sanzione del richiamo”.
In forza di tali previsioni ( prima della riforma del TUOM) la sanzione della consegna di rigore inflitta al militare. richiedeva, dunque, la comunicazione per iscritto del relativo provvedimento corredato di motivazione
Si tratta, invero, di affermazione, che, all’evidenza, presupponeva un diverso quadro normativo di riferimento in cui, si è visto, la notifica del provvedimento sanzionatorio avveniva attraverso la sottoscrizione per presa visione, per cui l’ordine del superiore era, non soltanto legittimo, ma anche funzionale e attinente al servizio, determinando l’obbligo di obbedienza del militare sottoposto.
Profili, questi ultimi, venuti meno con la nuova disciplina del 2010 con l’effetto di non consentire, innanzi ad un rifiuto di sottoscrizione per “presa visione”, come quello contestato all’odierno imputato, la configurazione del reato di cui all’art. 173 c.p.m.p..