induzione indebita a dare /promettere utilità: quando la condanna non comporta l’estinzione del rapporto di lavoro

Condividi questo articolo

Facebook
Twitter
LinkedIn
Telegram
WhatsApp

 
Un ufficiale del’Esercito viene condannato, all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di anni due di reclusione per il reato di cui all’art. 319 quater c.p. ( induzione indebita a dare o promettere utilità) .
La vicenda origina da una promessa di ” dazione ambientale” di un imprenditore interessato ad aggiudicarsi, a chiamata diretta, un appalto di lavori all’interno della caserma dove l’Ufficiale rivestiva la qualità di Comandante di Corpo.
Il reato di cui all’art. 319 quater c.p. , così come introdotto dalla legge ” anticorruzione” ( L.190/12) punisce ” il pubblico ufficiale che abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da tre ad otto anni”.
Recatosi dall’avvocato militare l’ufficiale intende sapere se tale condanna , passata in giudicato, determini quale suo effetto anche il venir meno del rapporto di impiego.
Nel caso di specie l’Ufficiale conserverà , per il solo effetto della sentenza penale ( e per il reato contestato) il proprio lavoro.
Infatti,secondo quanto statuito dall’art.317 bis c.p. e 32 quinquies c.p. la condanna per il predetto titolo di reato non comporta alcun effetto decadenziale del rapporto di lavoro.
Sul punto non potra, ricnosciuta la sospensione condizionale della pena, per una pena non superiore a due anni di reclusione neppure essere irrogata alcuna pena accessoria ( interdizione temporanea dai pubblici uffici).
Ecco perchè, in tale ipotesi, ove vi sia l’accordo con il P.m. , potrebbe essere utile addivenire ad una richiesta di patteggiamento per gli effetti di conservazione del rapporto di lavoro.